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martedì 29 gennaio 2013

Il cappellaio matto

Il tempo è quasi una concezione irreale, non so mica se in effetti scorra e come scorra. Intendo, il tempo personale, quello che sta nella tua mente che scandisce le tue cose e il tuo personalissimo modo di interpretare l'avvicendarsi degli avvenimenti. Deve per forza essere soggettiva la sua intuizione, immagino, altrimenti non mi spiegherei come mai noto sempre un momento di disorientamento sui volti degli altri quando tento di rapportarmi con questa strana entità. In genere, il tempo, sempre ammesso che esista, mi costringe a dei veri corpo a corpo, per domarlo, averne il controllo... e quando penso di averlo ormai assoggettato al mio volere, con un guizzo e un colpo di coda si divincola dalla mia presa lasciandomi con le mani vuote e nella più profonda desolazione. Forse sbaglio a volerlo dominare, il tempo, è una bella presunzione da parte mia visto che per me non esiste. Allora mi chiedo se in realtà io non stia li a cercare di assoggettare il tempo altrui, di renderlo conforme alla mia concezione non lineare del suo scorrere, a volergli far accettare le mie regole. 

Che il cappellaio matto si sia impossessato di me? 

È possibile. 

Forse viviamo solo perennemente intrappolati in un universo sconvolto e visionario... io e il cappellaio. 

Una estensione allucinata che, in ultima analisi, è solo presente espanso all'infinito. 

E non è che io non veda l'interpretazione del tempo di coloro che mi albergano intorno, certo che la noto la differenza! Vedo furia, rassegnazione e sbigottimento nei loro occhi dopo che mi hanno atteso all'appuntamento delle quattro del pomeriggio, 
si,
ma di tre pomeriggi prima... 

Mamma, ma come sono fiscali! Sempre le quattro sono, di che si lamentano? 

Non comprendo neppure questa smania di volerlo far finire per forza, questo tempo, deve stargli proprio antipatico ai più. Lo stremano incolpandolo, rincorrendolo, ammazzandolo in ogni modo possibile come fosse il nemico di tutti i nemici. 

Sono certa che per chi mi aspetta ancora li, alle quattro di un pomeriggio che prima o poi arriverà o forse non arriverà mai, mi vorrebbe in realtà uccidere, ma considero una grande libertà la possibilità di essere sovversivi nei confronti delle imposizioni e dei luoghi comuni. La possibilità meravigliosa di interscambiare gli spazi interiori con quelli esteriori, inventarsi regole e leggi tutte nostre, solo nostre, dipingendo un mondo al contrario ma favoloso. 

Perchè alla fine, come dice Alice: “non siete (siamo) altro che un mazzo di carte”!

venerdì 25 gennaio 2013

Rosso Sahara


Diego Marras era un collezionista di perle. Possedeva una collezione impressionante di perle provenienti da ogni angolo della terra. Erano perle rare e strane dei materiali più svariati ed introvabili, create in natura o dall’ingegno artistico dell’uomo. Erano pezzi unici poiché Diego Marras amava l'unicità la sublimava, non vi era una perla uguale all’altra. Viveva in un lussuoso appartamento dove aveva un’intera ed enorme stanza solo per la sua inestimabile collezione. Ogni giorno passava ore intere ad ammirare tutte le sue perle. Era conosciuto e stimato e chiunque volesse un parere autorevole su una perla andava a bussare alla sua porta. Diego Marras viveva tranquillo, ma un bel giorno la sua tranquillità svanì. Fu il giorno in cui una vecchia signora si presentò alla sua porta portando con se una perla molto particolare.
La vecchia signora venne fatta accomodare nella stanza delle perle, ma a differenza della maggior parte delle persone, che davanti a tanta bellezza rimaneva esterrefatta, non dette segno di provare alcuna emozione particolare. Tutta la sua attenzione era per il piccolo scrigno che stringeva tra le mani ossute e contorte. Diego la squadrò incuriosito. Era mal vestita e sembrava anche che non fosse tanto in salute. La fece sedere su una comoda poltrona e prese posto davanti a lei. 
La vecchia spiegò che aveva fatto un lungo viaggio per arrivare fin da lui e che lo aveva intrapreso unicamente per proporgli l’acquisto della sua perla. La sua famiglia era in gravi ristrettezze economiche e la loro unica fonte di ricchezza era quella perla. Aveva bisogno di denaro per curare la sua unica amatissima nipote. Con mani tremanti aprì il piccolo scrigno finemente cesellato che rivelò il suo contenuto elegantemente adagiato su un cuscino di velluto nero.
Diego Marras rimase senza fiato. Era una perla perfettamente sferica grande quanto l’unghia di un pollice di un colore iridescente e latteo che virava dal bianco all’azzurro pallido. Non era trasparente ma si poteva vedere il cuore di quell’oggetto sferico pulsare come se invisibili arterie vi pompassero una linfa misteriosa. A seconda della posizione in cui la guardavi sembrava che una specie di nebbia si muovesse al suo interno una nebbia iridescente con mille sfaccettature di colore. Le mani di Diego tremarono. Chiese se poteva toccarla e la vecchia annuì. Con una delicatezza estrema prese la perla tra l’indice ed il pollice e nel toccarla il cuore gli mancò un battito. Era forse impazzito? La perla non era fredda bensì lievemente tiepida. Se la rigirò tra le mani e nel farlo quella sensazione di tepore non svanì, anzi si fece decisamente concreta. Il desiderio di possedere quell’oggetto stupefacente s’impossessò di Diego con la rapidità di un fulmine. Rivolse la sua attenzione alla vecchia e si rese conto che la donna guardava la perla con un misto di dolore e tristezza. La paura che potesse ripensarci ed interrompere la trattativa spaventò Diego fino a fargli mancare il respiro. Doveva concludere velocemente, ma al tempo stesso parlare di denaro davanti ad una simile rarità gli parve quasi blasfemo. Nessuno dei due si decideva a parlare, la scena era così patetica da sembrare quasi comica. Alla fine, schiarendosi la gola, Diego affrontò l’argomento denaro.
- E' un pezzo di rara bellezza ... sicuramente unico ... Sono disposto ad acquistarlo .. Quanto aveva in mente di chiedere? -
La vecchia lo guardò e per la prima volta Diego si rese conto che le sue iridi erano così chiare da avere quasi il colore della perla, se non fosse stato per la piccola pupilla nera come l’onice, avrebbe pensato che la vecchia possedesse altre due perle al posto degli occhi. Quello sguardo era inquietante e tradiva ansia e preoccupazione.
- Questa perla non ha valore - iniziò con voce tremante - tuttavia lei è l'unica persona al mondo in grado di poterla acquistare ... In cambio della perla voglio solo quello che di più prezioso possiede -
Diego la guardò a bocca aperta. Cosa significava quella frase? Lui era molto ricco ed oltre alla sua inestimabile collezione possedeva denaro e proprietà ed anche molto oro.
- Lei vorrebbe che io le donassi la mia intera collezione in cambio di questa unica perla?
La vecchia scosse la testa.
- Io ho detto quello che di più prezioso possiede -
Diego depose la perla nello scrigno e si alzò. Girò su se stesso con le braccia aperte come a voler abbracciare l’intera stanza.
- Questo è quanto di più prezioso posseggo - 
La vecchia scosse di nuovo la testa
- Io non credo che ciò che tiene in questa stanza sia la cosa più preziosa che possiede ... - fece una specie di sorriso - ... Almeno lo spero per lei -
- Allora non capisco - disse Diego rimettendosi a sedere
- Cosa crede che sia a rendere tanto speciale questa perla? ... Le sembra forse una perla come tutte le altre?
Diego la prese di nuovo in mano e l’ammirò affascinato, quasi ipnotizzato.
- Questa perla è viva – disse in un soffio per paura che l’eco delle sue parole potesse infrangerla.
- Questa perla appartiene alla mia famiglia da generazioni, su di lei pesano secoli di vicende umane, la sua storia è bella e tragica allo stesso tempo … Essa non sono altro che le lacrime della principessa Farehyma cadute quando il suo eterno amore dovette sacrificare la sua vita per impedire che il caos s’impadronisse del mondo degli uomini …- 
Diego la guardò come se fosse piovuta da un universo parallelo. Ma di cosa stava parlando? Chi era questa principessa Farehyma e chi era il suo eterno amore? L’evidente stupore stampato sulla faccia di Diego fece sorridere la vecchia. Era evidente che la riteneva una pazza, ma lei non si scompose, e con la sua voce lenta e cantilenante gli raccontò la triste storia di Farehyma.
La principessa Farehyma era la custode del segreto dello scorrere del tempo. Dal suo castello ai confini tra cielo e terra lei sorvegliava che il tempo scorresse nella giusta direzione e che gli uomini soggiacessero ubbidienti al suo flusso. A quei tempi non esisteva il giorno e la notte la vita si svolgeva serena e pacifica scandita da ritmi biologici e gli uomini si riposavano quando il loro corpo, in armonia con lo scorrere del tempo, ne sentiva la necessità. Il tempo era per l’uomo un compagno di viaggio fidato e non un nemico da vincere in un' inutile battaglia. Un giorno però, un uomo malvagio si ribellò all’armonia del tempo. Il suo potere era forte, all’amore frapponeva il desiderio di dominio su tutto e su tutti, soprattutto sul tempo, che lui considerava l’usurpatore della vita. La sua voce potente e la sua ira funesta si diffusero sul mondo degli uomini come una bava malvagia che ben presto avvelenò il mondo perfetto su cui vegliava Farehyma. Tanta cattiveria e tanta rabbia colsero impreparata la principessa e il suo consorte il principe Hyramot. Il loro amore eterno era ciò che permetteva al tempo di scorrere fluidamente e che manteneva l’armonia tra cielo e terra, fra divino e umano. L’uomo malvagio scoprì che la principessa controllava il corso del tempo attraverso una magica collana di perle che portava sempre al collo, e fece di tutto per impossessarsene allo scopo di poter far scorrere il tempo avanti ed indietro a suo piacimento. Il principe Hyramot, nel tentativo di salvare la sua amata consorte e lo scorrere del tempo, decise di affrontare l’uomo malvagio. In uno scontro epico i due dettero fondo ad ogni loro risorsa senza mai riuscire a sopravvalere l’uno sull’altro. Alla fine però l’astuzia e la malvagità dell’uomo ebbero la meglio sul valoroso Hyramot. L’uomo riuscì a rapire la principessa e con lei la preziosa collana di perle. Disperato, il principe decise che doveva ad ogni costo evitare che l’uomo diventasse il padrone del tempo e l’unica modo che aveva per farlo era interrompere l’armonia del flusso temporale. Con un inganno fece credere all’uomo che la collana non era l’unico mezzo per governare il tempo, essa doveva essere conservata in uno scrigno che possedeva lui, solo allora il potere sarebbe stato completo. L’uomo gli disse che avrebbe barattato lo scrigno con la vita della principessa e Hyramot accettò. Si ritrovarono nel palazzo tra cielo e terra e finalmente i due innamorati poterono vedersi di nuovo. Hyramot sapeva che quella sarebbe stata l’ultima volta. Il principe, portando con se lo scrigno, si avvicinò alla principessa. Disse all’uomo che solo lui aveva il potere di toglierla e di metterla nello scrigno. La principessa sapeva che il suo amato stava ingannando l’uomo ed aveva paura, paura di quello che sarebbe successo. Con lo sguardo disperato cercò di dissuaderlo dal fare ciò che stava facendo, ma Hyramot era ormai deciso. L’uomo era vicino ad entrambi pronto a soffocare ogni tentativo di fuga o d’inganno. Hyramot afferrò la collana e con gesto deciso la strappò dal collo della principessa e nello stesso momento si affondò nel cuore un lucente pugnale con il manico di madreperla. L’urlo che sfuggì dalle labbra di Farehyma fece tremare il cielo e la terra. La luce perenne dell’armonia divenne buio e le perle che componevano la magica collana si spezzarono in miliardi di frammenti che andarono a tempestare il buio con la loro fredda luce siderale. Il corpo di Hyramot si dissolse in polvere lucente ed il pugnale che gli aveva tolto la vita lasciò la sua falce lucente nel funereo manto con cui il cielo si era vestito.
Farehyma guardò impotente la scia di polvere lucente, in cui il suo amato si era trasformato, snodarsi fra i frammenti di perle e fu allora che i suoi occhi versarono un liquido luminescente che scendendo lungo le guance si riunì sotto al mento formando un’unica grande goccia perfettamente sferica che il gelo del suo cuore cristallizzò formando la perla che Diego aveva tenuto fra le mani. Da quel  giorno il tempo divenne nemico dell’uomo  e per sancire il suo impietoso scorrere ed a memoria del sacrificio del principe Hyramot , affinché nessun essere umano potesse essere padrone del tempo, il giorno fu lucente e caldo come gli occhi inondati di lacrime della bella Farehyma  e la notte, rischiarata solo dalle stelle e dalla luna, fu scura e fredda come l’animo malvagio dell’uomo che aveva distrutto per sempre l’armonia del tempo. Ogni giorno l’inseguirsi del giorno e della notte avrebbe dovuto ricordare agli uomini che tutto ha un inizio ed una fine e che il tempo, impietosamente, avrebbe segnato il suo scorrere sulla sua pelle fino a trasformarla in polvere.
Diego aveva ascoltato il racconto rapito, forse addirittura trattenendo il respiro. Alla fine la vecchia lo fissò con sguardo strano, come se avesse voluto leggergli nell’anima, e forse lo stava facendo. 
- E’ una bella leggenda ..  ma non vedo cosa c’entri con il prezzo della perla che volete vendermi –
Disse Diego cercando di scacciare un vago senso di disagio e d’inquietudine. 
- Non è una leggenda è verità … L’uomo malvagio aveva un nome si chiamava Goras Diemar e da lui è discesa la razza che popola il mondo come noi lo conosciamo … In quel triste giorno anche lui non ebbe buona sorte. Il dolore della principessa lo trasformò in una statua di cristallo ed il suo urlo straziante lo frantumò in venti frammenti che si piantarono nelle profondità della terra infettandola del suo veleno … - Diego iniziava a sentirsi strano come se sotto la sua pelle vibrasse qualcosa d’indefinito che lo faceva tremare - … Ogni cento anni uno di quei frammenti si pianta nel cuore di un bambino prescelto che nasce con il marchio di quella colpa e che deve espiarla compiendo opere meritevoli dettate dall’amore ..  Sono trascorsi duemila anni ed è in questo secolo che l’ultimo frammento ha trovato l’ultimo cuore -
    La vecchia prese un foglio che era sul tavolino in mezzo a loro e con un lapis vi scrisse il nome dell’uomo malvagio. Sotto gli occhi esterrefatti di Diego le eleganti lettere vergate con mano sicura si mossero spostandosi sulla carta come se fossero state pedine di un gioco da tavolo ed andarono a comporre un nome: Diego Marras. Diego si alzò di scatto rovesciando la sedia su cui era stato seduto fino a poco prima. Guardò con occhi sbarrati prima il foglio e poi la vecchia, sentiva il cuore battere furiosamente e dolergli nel punto dove, adesso ne era certo, era conficcata l’ultima scheggia di cristallo. 
   - Non puoi sfuggire al tuo destino … la tua discendenza t’impone di porre rimedio al male che compì il tuo avo …. – 
   Diego  si rese all’improvviso conto del motivo della sua ossessione per le perle, della sua ricerca affannosa dell’unicità … In realtà aveva passato la sua vita alla ricerca di quell’unica perla. Fissò la sfera che adesso sembrava pulsare furiosamente in sincrono con il suo cuore impazzito.
   - Libera le lacrime della principessa,  lascia che il suo dolore si sciolga scorrendo  al ritmo del tempo e che possa riunirsi al suo amato nell’indefinto confine che unisce il giorno alla notte.-
Diego guardò fuori dalla finestra e si rese conto che era già quasi il crepuscolo. La vecchia era entrata in casa sua di mattina, possibile che il suo racconto fosse durato per tutto il giorno? Oppure il tempo aveva accelerato il suo corso come un fiume in piena? Nella mano della vecchia apparve una rosa formata da petali di cristallo, il suo colore era di un rosso acceso,  come il sangue. Diego vide che mancava un petalo al centro. Le mani ossute della vecchia deposero il fiore sul tavolino poi indicò la perla che giaceva nel suo scrigno. 
- Adesso tocca a te –
Diego, guidato da una forza a lui sconosciuta, prese la perla e l’avvicinò al centro del fiore di cristallo. In quel momento un dolore lacerante gli spaccò il cuore, nelle sue orecchie echeggiò l’urlo straziante della principessa Farehyma, la vista gli si appannò e sentì il gelo dello spazio siderale avvolgerlo come un sudario. Come se avesse lacerato la carne, brillante del suo sangue caldo, un frammento di cristallo apparve davanti agli occhi di Diego e con lentezza esasperante si posizionò sul fiore di cristallo completando la composizione. Solo allora le dita tremanti di Diego riuscirono a deporre la perla al centro della corolla della rosa. La stanza iniziò a vorticare fino a dissolversi. Diego si ritrovò sospeso nel vuoto di una volta stellata. Davanti ai suoi occhi doloranti la vecchia perse le sue misere sembianza per acquistare la bellezza eterna della principessa Farehyma. La falce madreperlacea della luna illuminò per un attimo gli occhi della principessa, erano colmi di lacrime che staccandosi dalla sua pelle candida e luminosa si diressero verso di lui bagnandolo con il loro tepore latteo. Per un attimo la notte cessò di esistere e finalmente la principessa Farehyma ed il principe Hyramot poterono sfiorarsi di nuovo. Diego ed il principe erano una cosa sola ed il loro cuore batteva all’unisono solo per lei. Duemila anni prima non si erano potuti salutare, non avevano potuto dichiararsi il loro amore eterno, non si erano potuti scambiare l’ultimo bacio. Adesso che il tempo si era magicamente riavvolto, dopo duemila anni di dolore senza pace, Farehyma e Hyramot potevano unirsi per rimanere uniti in eterno in quel frammento di tempo che unisce il giorno alla notte e la notte al giorno.
Ci fu come una deflagrazione. Diego si sentì risucchiare in una spirale che lo precipitò in un girotondo senza fine, davanti ai suoi occhi vide lo scorrere del tempo, un fiume placido che nasceva da una montagna tra cielo e terra ed a lei tornava per nascere di nuovo. Fu una visione nitida e fugace allo stesso tempo e quando tentò di vederla più chiaramente, scomparve lasciandolo stordito e frastornato al centro della stanza in mezzo alla sua collezione di perle. La vecchia era scomparsa ed al suo posto c’era una collana di perle raccolta al centro dello scrigno che aveva contenuto le lacrime di Farehyma. Diego prese lo scrigno e lo chiuse con cura. Con  passo deciso si diresse verso la vetrina centrale e ve lo depose dentro. Fuori il buio della notte stava cedendo il passo al chiarore dell’alba. Diego guardò quel cielo di un colore indefinibile sapendo che quello era il colore dell’amore. Sorrise sentendo sulle dita ancora il fragile tocco delle dita diafane di Farehyma. Dopo duemila anni ad un umano era stato concesso il potere di custodire il segreto del tempo. Rinchiuso nel suo castello di perle celato tra cielo e terra Diego sapeva che per l’eternità avrebbe assistito al miracolo dell’amore che si sarebbe rinnovato ogni giorno. Quello era il segreto del tempo.
               
FINE


domenica 13 gennaio 2013

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