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mercoledì 10 aprile 2013

Atavica notte


Il sole tra qualche ora sorgerà, questa notte senza luna sta conoscendo faticosamente la sua fine, non che io non ami la notte, tutt'altro, la mia vita è un continuo susseguirsi di notti insonni per scelta.
I giorni cadenzano, lenti, con il loro ritmato gocciolio l'estasi intima delle mie notti, notti nelle quali scorgo anfratti d'anima ancora ignoti e con perizia e pudore mi appresto a entrare in comunione con essi senza nulla chiedere e nulla pretendere.
La notte, nel silenzio, o meglio, nel brusio composito del silenzio che si discerne dinnanzi a me ed in me trova forza per mostrarsi nella sua interezza, nella sua bellezza nitida e oscura, io vivo appieno e respiro l'aria come se fosse la più pura e lieve di questo mondo e dell'altro.
Gli occhi si socchiudono pretendendo da me il tempo per potersi abituare all'oscurità, a ciò che solitamente ci impediamo di vedere accecati da infinite fonti di luce.
Accetto questo tacito accordo, conscia che questi pochi attimi di annientamento ben presto verranno ripagati.
E così è, ora ciò che mi circonda è sotto la mia padronanza non solo visiva ma anche tattile ed olfattiva, ne sento persino il sapore posato sulle mie labbra, nettare dolce quanto le lacrime di un Dio; sono pienamente consapevole di me stessa come in poche altre circostanze mi accade.
L'oscurità che tanto temevo, un tempo, ora mi avvolge, fasciandomi e nutrendomi come un grembo potrebbe fare con una neutra creatura.
Mi perdo e perdendomi ritrovo ogni molecola del mio essere, ogni mio più sconosciuto atomo ed in un attimo si srotola dinnanzi a me la doppia elica del mio DNA, delirante, ma così sentitamente pieno e vivo da farmi rabbrividire.
Le ataviche sensibilità dei miei avi si presentano una ad una, dapprima in una patinata foschia per poi farsi vivide e accese nell'aura che la luna invisibile dietro alle mie iridi è capace di percepire.
Scivolano su di me senza impedimenti, portate dalla coscienza di ciò che ho sempre creduto di sapere senza avere piena consapevolezza, bevo a lunghe sorsate vecchie rabbie ed antiche gioie, infelicità, dolori, amori, disonori, prodezze e gaia sfacciataggine e ricompongo in quell'elaborato tramestio ogni mia particolarità, fieramente.
Il sangue prende a pulsarmi nelle vene, le tempie ora martellano dolcemente come a volermi far
notare la loro perenne presenza.
Il sangue refluisce, poi ripercorre il suo corso, sembra perpetuo, immutevole, ma io ne sento ogni minima variazione.
L'intensità cresce e spalancando la finestra mi nutro di questa notte, ed in essa spalanco gli occhi dinnanzi a questa visione che ricerco e vivo.
Parlo a me stessa, non capita sovente, ma nella quotidianità della vita in chiaroscuro esistono sere in cui io anelo ancor più intensamente l'oscurità di questa setosa madre.