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mercoledì 3 aprile 2013

UNA NOTTE AFOSA




Luce. C’è troppa luce in questa stanza così piccola. La mia mano nervosa cerca freneticamente l’interruttore e lo gira. Non ci vuole molto perché i miei occhi si abituino alla poca luce che filtra dalle veneziane tirate su. E’ la luce della città il suo cuore pulsante. Di giorno frastuono, di notte silenzio complice e traditore. Luci colorate che incantano il viaggiatore ignaro. Ma io non sono né un viaggiatore né tantomeno ignaro. Luci che ammiccano e mi chiamano, balordo tra i balordi. Come ero finito in quel buco? Guardo l’orologio che porto al polso. Un regalo avuto secoli prima, quando ancora facevo parte delle persone e non dei reietti. Sono le due di notte. Tardi per la gente che lavora, un’ora qualunque per uno come me. Insonnia. La mia compagna di sempre anche questa volta non mi ha deluso. Avevo provato a leggere ma mi era venuta la nausea ed il sonno non era arrivato. Conosco persone che usano sonniferi o magari droghe, io non sono il tipo, le cose devono accadere naturalmente e naturalmente il sonno sarebbe arrivato, se non oggi magari domani, magari mentre meno me lo aspetto, magari quando sono in bilico su un cornicione, mentre guido, mentre mangio, mentre prendo la mira per sparare. Fottuta città. Dicono che è una dea capricciosa che tutto prende. A me ha preso tutto, la dignità, i sentimenti, la ragione. Non ho più nulla da offrirle, eppure lei mi mantiene in vita, forse nel suo perverso meccanismo posso ancora esserle utile. Decido che è arrivato il momento di fumarmi una sigaretta. Allungo una mano e afferro il pacchetto che è sul comodino. 
Con gesto esperto ne faccio uscire una fuori l’afferro con le labbra e la tiro via. Cerco i cerini ma le mie dita incontrano l’accendino. Ero certo di averlo gettato, invece lui è lì ammiccante e complice. Bastardo pure lui. Il pollice scorre e la fiamma appare e per un attimo il letto la mia mano e la sigaretta prendono vita animandosi di un colore giallognolo e tremolante. Accendo la sigaretta poi mi rigiro l’accendino tra le mani e mi torna in mente una storia triste, una storia per la quale avevo deciso di smettere di fumare. Tiro una lunga boccata , il fumo invade la bocca sale e scende e mi annebbia il cervello. Chi non ha più dignità non è tenuto a mantenere le promesse, quindi posso fumare senza sentirmi colpevole. Ma io sono colpevole, lo sono sempre. Ancora una boccata e poi fisso la luce arancione del mozzicone. Promesse infrante. Sono la mia specialità. Anche la città è la regina delle promesse infrante e dei sogni spezzati. Dovevo fumare o quella notte non avrebbe avuto fine e sarebbe sembrata ancora più squallida e soffocante. Dalla finestra socchiusa non un alito di vento. Notte afosa. Notte fottuta. Il sudore mi cola sulla fronte, fastidioso e petulante come un insetto. Rumori rari e distanti vengono dalla strada. Voci lontane liquefatte dal caldo, stridio di gomme sull’asfalto. La città non dorme mai, al massimo si riposa. A quell’ora la città fa da cornice ai delinquenti alle puttane ed ai disperati, il mio genere la mia razza. Guardo di nuovo la sigaretta, tiro un ultima boccata e poi la spengo deciso nel portacenere. E’ facile spengere una sigaretta almeno quanto lo è spengere una vita. Entrambe bruciano velocemente e muoiono per mano dell’uomo. Stasera mi sento un poeta. Questa stanza mi da sui nervi, il caldo mi da sui nervi. Pigramente mi alzo ed al buio sbatto contro la sedia. Impreco. Barcollando cerco i pantaloni. Al buio mi vesto. Di solito ci si spoglia, magari mentre una bella donna, o semplicemente una donna, ti aspetta vogliosa nel letto. Ma non stanotte. Fa troppo caldo, sono troppo fuori di testa per sentire una tale necessità. Metto in tasca quello che mi serve. Non per tutti sono necessariamente le stesse cose. E’ soggettivo. Apro la porta e me la chiudo alle spalle. Il corridoio è caldo come la stanza e puzza di più ma mi sembra che sia più fresco, che mi faccia respirare meglio. Mi allontano da quella porta con un vago senso di vittoria. Ho preso la mia decisione anche per stanotte. Non male per uno come me. Esco dal portone e mi ritrovo in strada. Le insegne luminose delle pubblicità e dei locali equivoci non mi danno noia come quella della stanza. Sono ammiccanti, complici, mi salutano come vecchi amici di bagordi. Scuoto la testa. Il caldo da alla testa non c’è dubbio, ma io che la testa l’ho persa da tempo? Una cosa su cui riflettere, in effetti. Ma si riflette meglio davanti ad un buon bicchiere. Le mie idee migliori le ho sempre trovate nel fondo di un bicchiere o di una bottiglia. Non sono mai stato molto originale. In fondo al vicolo alla mia destra c’è un bar uno di quelli aperti ventiquattrore su ventiquattro. Le mie gambe sanno cosa fare, dove andare. Mi fermo davanti alla vetrina sporca e con l’insegna mezza fulminata. E’ aperto. Mi sarei stupito del contrario. Entro ed il barista mi squadra cupo. Sono solo un altro sbandato nella notte. Soldi facili. Non c’è molta gente. 
Due ubriachi che stanno smaltendo la sbronza dormendo riversi su uno dei tavoli e due papponi con le loro puttane. Sono giovani ma sfatte dal caldo e dalla stanchezza. Non è un lavoro facile il loro. Io le ho sempre rispettate. Sono donne forti e deboli al contempo. Un enigma che mi ha sempre affascinato. Una volta avevo una donna ed era mia. Adesso per avere una donna devo pagarla. Infondo tutte le donne hanno un prezzo e le puttane sono quelle più a buon mercato, ci sono donne che costano addirittura tutta una vita. Un prezzo spropositato ma che una volta ero disposto a pagare. Una volta. Mi siedo al bancone ed ordino un doppio whisky. Il barista si sposta pigro come se ogni movimento gli costasse il triplo della fatica. Le ventole sul soffitto del locale non producono alcun effetto. L’aria è così ferma e umida che nulla la smuove. Le vedo girare riflesse sulla superficie del bancone. Si muovono ma non accade nulla è esasperante, soffocante. Lentamente bevo il mio drink. Non mi aiuta, ma non ho trovato di meglio. Forse se esco e faccio due passi magari trovo quello che cerco. Getto i soldi sul bancone ed esco dal locale. Mi sento rallentato come una sequenza ad effetto di un film poliziesco di terza categoria. Infilo le mani nelle tasche sformate dei jeans e muovo un passo davanti all’altro. Sembra facile, ma in quel momento solo una forte concentrazione mi permette di farlo. A camminare s’impara da piccoli a barcollare lo si fa da grandi. Sbuco su una strada di cui non ricordo mai il nome e ad un centinaio di metri vedo un gruppo di balordi appoggiati ad un lampione. Mi avvicino e sento uno strano odore. Stanno fumando, ma non sono sigarette. E’ crack. Non si vergognano di farsi sul marciapiede. Non li spaventa nulla, nemmeno che possa passare una pattuglia. La notte è loro, la città glielo permette. Cerco di non guardarli e passo oltre. Fa caldo, troppo caldo. Non voglio guai stanotte, vorrei solo dormire. E poi la luce di quel fottuto lampione mi da noia, mi ferisce gli occhi ed i miei occhi sono stanchi e vorrebbero solo smettere di vedere almeno per un po’. Abbassare le palpebre e fottersene di tutto e di tutti. Fare finta che tutto vada bene, che tutto sia bello come in una stucchevole favola di Disney. So che non andrà così.  Faccio pochi passi e la voce impastata di uno dei balordi mi apostrofa in modo pesante. Non so perché un uomo che gira da solo di notte debba essere per forza un finocchio. Me lo sono sempre chiesto. A quel richiamo seguono urla, risate convulse ed un dettagliato resoconto di quello che vorrebbero fare con il mio culo. Continuo per la mia strada indifferente. Sono in quattro ed io sono da solo e non al massimo della forma. Forse se li ignoro loro ignoreranno me. Una cazzata. Io lo so, loro lo sanno. Sento rumore di passi in corsa. Mi fermo e mi volto. Sono fuori di testa ma non così tanto. Quello che mi è venuto dietro è giovane, ben piantato ha tatuaggi sul volto ed è rasato a zero. Davvero un gran brutto elemento. Mi dice che vuole che glielo succhi. Come faccio a dirgli che non è il mio tipo senza offenderlo? Lo guardo come se fosse un marziano e lui s’incazza. E’ evidente che il mio atteggiamento non gli piace. E’ fatto fino agli occhi è pericoloso e lo dimostra subito. Mi sferra un cazzotto violento allo stomaco. Arretro barcollando senza fiato, piegato in due. Sento le risate degli altri che si avvicinano. Il mio culo è a rischio, in tutti in sensi. Non è il momento di piangersi addosso, potevo farlo fino ad un attimo prima, adesso è un lusso che non posso permettermi. Ma sono stanco accaldato, annebbiato e senza fiato. Il secondo colpo parte e mi prende al volto. Cado a terra e sento il sapore ferroso del sangue che m’impasta la bocca. Nausea. Sto per vomitare ma devo resistere, posso farcela. L’apatia mi avvolge ancora nelle sue spire, nemmeno la paura la smuove. Sento male ma non come avrei creduto. Di nuovo quel fottuto film a rallentatore. Qualcuno mi afferra per i capelli. Il dolore pervade tutto il corpo come un’esperienza mistica. Mio malgrado sono costretto ad alzarmi. Davanti a me tanti volti, cento, mille. Metterli a fuoco non è facile. Poi mi accorgo che sono solo in quattro, i soliti quattro di prima. Menomale avevo creduto che si fossero moltiplicati. Sono davvero fortunato. Questi sopportano il caldo peggio di me. Con il dorso della mano mi pulisco il sangue dalla bocca ma lui continua a colare. Mi hanno mollato i capelli ma mi hanno circondato. Vogliono solo giocare. Chissà cosa credevo. Si avvicinano. Parte un altro colpo, alle spalle. Cado in ginocchio sul marciapiede e vomito. Ridono sguaiati. Cosa ci sarà di divertente a guardare uno che vomita? Un calcio mi colpisce sul fianco. Sono senza fiato, sudato e comincio ad incazzarmi veramente. Io ero uscito per camminare e non per discutere con chicchessia. Non ho voglia di discutere, l’afa non facilita le mie doti comunicative, sono sempre stato un disastro nei rapporti interpersonali. Volevo solo una fetta di notte da godermi in santa pace. Perché la gente pensa sempre che quello che va bene per lei debba andare bene anche per gli altri? Io sono uno che lascia agli altri la libertà di scegliere quello che vogliono fare, gradirei che anche gli altri facessero lo stesso con me. Mi alzo barcollando. Me lo lasciano fare, fa parte del gioco. Colpire un soggetto in movimento è più divertente. Sono d’accordo. Faccio profondi respiri fino a quando mi sento più saldo sulle gambe. Loro ridono e m’insultano. Davanti a me il tizio che mi ha colpito per primo. Barcollo esagerando il movimento, faccio finta di cadere e mi avvicino, poi all’improvviso scatto e gli piombo addosso. Serro il pugno e picchio. Il rumore della cartilagine del naso che si spacca mi da soddisfazione. Stranamente il mio braccio scatta rapido prima che gli altri reagiscano, l’ho colpito ben tre volte. Ha la faccia coperta di sangue e crolla a terra come un sacco vuoto. Non provo nulla, nemmeno dolore alla mano. E’ come se il mio corpo agisse da solo ed io me ne stessi da un’altra parte a godermi lo spettacolo. Una sensazione strana, brutta e pericolosa. La mia reazione li ha colti di sorpresa. Sono spiazzati, ma quando vedono il compagno cadere a terra si riscuotono.
Il loro orgoglio ferito li fa scatenare. Alla luce del lampione poco distante brillano le lame di affilati coltelli. Non mi stupisco. Era una logica conseguenza. Mi meraviglio, anzi, che non li avessero già tirati fuori. Urla ed insulti. Si danno la carica. Ho poco tempo. Affronto il primo e lo disarmo con un calcio. Mi chino rapido e raccolgo il coltello. Sono io così veloce? Da quando? Forse è perché il mio corpo lavora da solo mentre io guardo da chissà dove. Mi metto in posizione in attesa del nuovo attacco. Il combattimento con i coltelli non è mai stato il mio forte. Preferisco di gran lunga una bella Glock calibro 45, facile, pulita e veloce. Fa rumore, questo è vero, ma ti permette di mettere fine ad una discussione da distanza e senza sudare eccessivamente. E stanotte sto sudando come una bestia. Una cosa che mi da molto fastidio. Si fanno sotto, ma in quel momento l’ululato di una sirena squarcia il velo pigro e afoso della notte. Sembra vicina, sembra proprio che stia per arrivare lì. I tre teppisti superstiti si guardano in faccia, poi mi guardano. Ci stampiamo nella mente le nostre facce. Non si sa mai, magari potremmo anche incontrarci di nuovo. I coltelli spariscono nelle tasche dei loro pantaloni da rapper e si dileguano veloci come gazzelle nella savana. Faccio profondi respiri. La faccia mi fa male e pure le reni ed il fianco per non parlare del cuoio capelluto. Il coltello mi brilla nella mano. L’urlo della sirena si dilegua nella notte. La pattuglia è passata vicina diretta altrove, ma è bastata allo scopo. Guardo il tizio steso a terra. Begli amici. Lo hanno mollato alla mercé del nemico. Non ci si può più fidare di nessuno. Mi viene voglia di piantargli il coltello in gola. Farei un piacere alla città. Ma stasera non la sopporto e non mi va di farle un piacere, lei ultimamente non me ne ha fatti molti. Richiudo il coltello a serramanico e lo metto in tasca, non si sa mai. Mi avvicino al teppista e con grande soddisfazione gli sferro un calcio nel costato. Tanto per mettere in chiaro che non sono un finocchio e che non lo succhio a nessuno.Una notte di merda, una delle tante, e ancora non è giunta al termine. Cosa dovo aspettarmi? Mi allontano infilando le mani in tasca. Sento il pacchetto delle sigarette. Lo tiro fuori e ne prendo una. Di nuovo quel maledetto accendino, ancora la sua fiamma seducente. Il sapore del tabacco invade i miei polmoni. Veleno, suadente, come il bacio traditore di una donna. Faccio alcuni tiri socchiudendo gli occhi. Ha uno strano sapore, sarà il sangue che ancora m’impasta la bocca. Non è un bel connubio, ma aspiro con soddisfazione. Dopo una bella scazzottata ci sta proprio una sigaretta, esattamente come dopo una bella scopata. Vedo delle puttane appoggiate al muro, mi guardano ma non si muovono. Non devo avere un bell’aspetto. Nemmeno loro lo hanno. Forse avrei bisogno di un bella doccia fredda. Getto il mozzicone della sigaretta in mezzo di strada. Forse dovrei tornare nel mio buco, forse dovrei fare il bravo ragazzo e mettermi a letto. Forse. Passeggio pesante senza avere una meta. Magari arrivo fino al fiume e aspetto che arrivi l’alba. Magari nel frattempo trovo qualcuno che mi pianta una pallottola in fronte o mi apre la gola con un coltello. Magari era meglio se non lasciavo la mia Glock in quella fottuta stanza. 
Dicono che la grandezza di un uomo si misura dai ciò che ha fatto. Forse mi daranno una medaglia, forse un orologio d’oro quando andrò in pensione o forse daranno a mia madre una bandiera ripiegata ad arte ringraziandola per il servizio che suo figlio ha reso al paese. Ho perso il conto dei giorni. Sono come un detenuto in attesa del giorno dell’esecuzione. Il mio lavoro salverà delle vite, e permetterà a qualcun altro di farsi fotografare mentre stringe la mano al sindaco. Ma è il mio lavoro e lo so fare maledettamente bene.
Mi appoggio alla balaustra e guardo scorrere il fiume, pigro e maestoso. Anche lui sente l’afa della notte. Quando l’alba renderà argentati i grattacieli avrò alle spalle un’altra notte insonne e davanti a me un altro fottuto giorno da infiltrato. Infilo la mano in tasca e prendo un’altra sigaretta. Fanculo alle promesse. Quelle sono per i bravi ragazzi ed io non lo sono. 
FINE

lunedì 1 aprile 2013

NEL MIO MONDO DEI SOGNI 5


L'INCUBO


vittime delle nostre energie rinnegate.


La paura allora diventa un espediente usato dalla psiche per agganciare la nostra attenzione su qualcosa che ha bisogno di essere portato alla luce.

Gli incubi per me sono il lato b dei sogni, un po' come il lato b della vita che lo associo ai momenti bui: come nella vita, anche il lato b dei sogni va affrontato per trarne un insegnamento. Con la comprensione di questo tipo di sogno abbiamo già fatto la maggior parte del lavoro per il lato b della nostra vita.
Perchè siamo consapevoli del problema, di cosa ci blocca...ecc ecc
Prendiamo in considerazione quest'equazione per comprendere meglio cosa sono gli incubi:

Incubi = se rinnegati

Energia rinnegata e repressa debba essere riportata alla luce , nel sogno c’è un messaggio per noi che riguarda la nostra maturità, la nostra evoluzione…c’è qualcosa che può esserci utile, che noi non vediamo e che, nell’arco del tempo, abbiamo colorato con le tonalità dell’ombra.

domenica 31 marzo 2013

Troppo sushi e un sorriso :)

Sabato notte, sono in overdose da sushi... è un periodo strano... mi sento ferito ma non so bene da cosa, piango anche se guardo Tom e Jerry in tv... ho voglia di sorridere e spero di far fare lo stesso a voi...
Dunque...
Prendi un amico, geniale videomaker..
Aggiungi Michele, il dolcissimo fratello di una mia amica (vi ricordate Giorgia la cantante?)...
Condisci con Zoe, un esuberante cagnolina ruffiana e paracula da morire...
E infine guarnisci con un robot da cucina...
Il gioco è fatto!!

Buon sorriso a tutti voi

ENJOY :)

sabato 30 marzo 2013

NEL MIO MONDO DEI SOGNI 4




I sogni possono essere interpretati correttamente soltanto in relazione alla storia individuale del sognatore.
Sognare è un’esperienza comune: espri­mere i sogni con le parole può essere molto frustrante, il rac­conto che si tenta da svegli è insuffi­ciente rispetto all’esperienza unica che si è vissuta.
Il mondo onirico ha un linguaggio speciale, diverso da quello logico che guida le azioni durante il giorno. «È un di­scorso intuitivo, emozionale, sintetico, paragonabile solamente a quello dell’arte, che in­fatti si esprime in modo simbolico, indiretto»
Giuliano Turrini (psichiatra e psicoanalista)








C'è un tempo per tutte le cose... mi ricollego all'articolo della mia amica reby...stimolandomi insieme ad un'altra amica che fa di nome guenda a soffermarmi al pensiero del grande mistero che accompagna la nostra vita...ma a pensarci bene è veramente così?...OGNI COSA A SUO TEMPO?E' difficile capire quando è il tempo giusto di fare una cosa e quando invece sarebbe meglio buttarsi a capofitto su un’altra. Quand'è il momento giusto?... esattamente nel momento in cui è passato…
Esistono cose che si possono fare soltanto in un preciso momento della nostra vita o solo in determinati momenti si possono fare?
Questo che tutta la mia famiglia sta vivendo in questo momento è davvero particolare...e allora partono i perché? come mai?...non era il momento giusto...etc etc..Ma come sarà diventare NONNA...
La vita... Si nasce, si cresce, ci si sposa, si hanno dei figli e poi dei nipoti. I figli crescono e improvvisamente, quello che tu consideri ancora il tuo bambino, il tuo cucciolo, diventa papà.
La notizia ci è arrivata come una vera e propria doccia fredda, un fulmine a ciel sereno... improvvisamente tutto sembra irrisolvibile, problemi, dubbi, incubi angosciosi... iniziano a nascere preoccupazioni di ogni tipo.
Guardo il suo viso e i suoi occhi mi confermano ciò che pensavo e in una frazione di secondo ho la conferma.
Mi ritrovo con un figlio spaventato all'idea di diventare papà...e poi ci sono io, terrorizzata all'idea di diventare nonna...
Non sono riuscita a gioire di questa cosa perchè mio figlio non è in grado di mantenere se stesso, figuriamoci altre 2 persone, perchè non lavora...e la nostra situazione economica non è delle migliori...e poi c'è la mia salute che vacilla.
Mio figlio e la ragazza hanno bisogno in questo momento di una spalla a cui appoggiarsi, non di ulteriori ansie, e questo mi dà la forza di prendere le redini in mano e mettere su quella corazza che ben conosco...
Come mi sentirò come nonna? Un nipotino non era previsto...
Ho sempre sentito dire "che non si nasce genitori imparati"... questo vale allora anche per i nonni. Non esiste un corso di formazione per apprendere quest'altro mestiere...e non sono disponibili istruzioni per l’uso.
So per certo che quello che lega i nonni e i nipoti è un legame speciale, ho l' esempio concreto tra i miei genitori e i miei figli.
tic tac, tic tac... l'orologio biologico segna 50, questi sono i miei anni, e spero che presto tutte queste ansie lasceranno spazio alla gioia e al desiderio di veder nascere questa creatura.
Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde.
(Alessandro Baricco)

C'è un tempo per tutte le cose







Un tempo per nascere, un tempo per morire.
Un tempo per piantare, un tempo per sradicare la pianta.
Un tempo per uccidere, un tempo per guarire.
Un tempo per distruggere, un tempo per costruire.
Un tempo per piangere, un tempo per ridere.
Un tempo per gemere, un tempo per ballare.
Un tempo per scagliare pietre, un tempo per raccogliere sassi
Un tempo per abbracciare, un tempo per separarsi.
Un tempo per cercare, un tempo per perdere.
Un tempo per conservare, un tempo per gettare via.
Un tempo per strappare, un tempo per ricucire.
Un tempo per tacere, un tempo per parlare.
Un tempo per amare, un tempo per odiare.
Un tempo per la guerra, un tempo per la pace.

Paulo Coelho










Oggi mi son dilettata a fare la fotografa, a volte l'ispirazione ti coglie e anche se vien fuori un disastro non puoi rinunciare a farla scaturire e invaderti le vene..

venerdì 29 marzo 2013

LA CASA NELLA BUFERA




Mi fermai davanti ad un cancello elaborato piuttosto gotico, dietro si snodava un ampio parco che saliva lungo tutta la collina e sulla vetta, in parte celata dalla vegetazione, si notava la struttura della villa. Era imponente con due torri, una a ponente ed una a levante dall’aspetto cupo e vagamente sinistro. Non potevo certo vederle bene da quella distanza ma la mia immaginazione, foraggiata dalla stanchezza del viaggio, mi suggeriva che fossero decorate con terrificanti gargolle. Mi annunciai all’interfono, che era vicino all’ingresso ed una voce vagamente metallica mi chiesi chi fossi. Mi presentai e le porte del pesante cancello si aprirono lasciandomi passare. Come notai in seguito quel cancello automatico col citofono erano le uniche modernità che avrei trovato alla villa. 
Il parco era magnifico, perfetto ed ordinato, ma conservava, in alcuni suoi scorci qualcosa di selvaggio o forse di magico. Guidai con calma lungo la strada che era battuta e ben tenuta ma non asfaltata. Quando arrivai in vetta alla collina rimasi affascinato dalla struttura della villa. Era bellissima, opulenta, e con una maestosità decadente che la rendeva perfetta per il convivio al quale ero stato invitato. Un elegante valletto si curò di aprirmi lo sportello ed un altro di prendere i bagagli. Salì la larga e breve scalinata che portava al portone d’ingresso e varcai la soglia. Fuori il sole stava morendo, mi sarei aspettato di trovare all’interno un’adeguata illuminazione invece ovunque candelabri e lampadari di foggia antica con candele. Quella penombra tremolante e suggestiva non mi fece una buona impressione, forse perché ero stanco, o forse perché ho sempre avuto una forte predilezione per le cose chiare. Un altro valletto mi prese soprabito e cappello e il mio sguardo fu calamitato dall’imponente scalinata che conduceva al piano superiore. All’improvviso sentì come una folata gelida, mi voltai d’istinto, ma il portone era chiuso, allora tornai a guardare di nuovo la scalinata ed ebbi come la sgradevole sensazione che quella folata fosse stata il respiro della casa, un muto benvenuto che di benvenuto aveva ben poco. Mi detti dello stupido, ero già entrato nello spirito di quel convivio, eppure non ero mai stato un tipo suggestionabile. Scrollai la testa come a vuotarmela da certe sciocche suggestioni e seguì il maggiordomo che mi stava facendo strada. L’arredamento della casa era tutto in stile. Ovunque mobili di pregio e antiquariato, Sir Kokenaim non era certo il tipo da farsi mancare nulla, assieme a quell’antico maniero aveva di certo anche acquistato un po’ di atmosfera di mistero che di solito viene venduta solo ai veri intenditori. Il maggiordomo si fermò davanti ad una porta pesante e finemente cesellata. Da dietro si sentiva smorzato il suono di varie voci. Lui s’inchinò dicendomi qualcosa che non capì e solo allora gli prestai attenzione. Era un uomo di mezza età con la carnagione pallida ed occhi mobili e sospettosi che parevano guardarsi sempre attorno alla ricerca di qualcosa o qualcuno, che a giudicare dalla sua espressione, non doveva essere molto amichevole. Fui annunciato ed entrai nel grande salone. Era una stanza molto accogliente nei toni del bordeaux e dell’oro arredata in modo squisito e ravvivata da un enorme caminetto nel quale scoppiettava un bel fuoco. 
Eravamo alla fine di ottobre le giornate si erano accorciate e l’autunno aveva già steso il suo manto raffreddando notevolmente la temperatura. Al mio ingresso tutti si zittirono voltandosi a guardarmi. Nonostante tutto provai un certo imbarazzo. Ero uno scrittore, e quindi abituato alla gente, ai convegni, ad essere al centro dell’attenzione, ma quegli sguardi sembravano non essere né curiosi né gentili. Alcuni di quei volti li conoscevo altri no, cercai quello di Sir Kokenaim e lo trovai allegro e gioviale come sempre. Con la sua mole imponente mi venne incontro sorridendo ed a braccia aperte. I suoi baffi rossicci tagliati nell’antica foggia asburgica lo rendevano anacronistico ma terribilmente originale. Mi strinse con fervore, come se fossi stato il figlio tornato da un lungo viaggio, ribadendo, per chi avesse avuto ancora dei dubbi, che lui sull’etichetta e sulle formalità ci faceva una bella risata. 
- Caro, caro Marc!! … non vedevo l’ora che tu arrivassi!! 
Dopo quel caloroso benvenuto tutti ricominciarono a parlare e nessuno, almeno mi parve, mi guardò più con ostilità. 
Sir Kokenaim mi prese sottobraccio e mi condusse al centro della sala. Con la sua voce vagamente baritonale richiamò l’attenzione degli astanti e mi presentò 
- Questo affascinate giovanotto è Marc Donnerstag … il nostro ospite celebre, lo scrittore che sta scalando le vette di tutte le classifiche editoriali ed il cui libro sta per aggiudicarsi il titolo di Best-Seller dell’anno!! 
Ci fu un breve applauso che mi mise a disagio, poi Sir Kokenaim attaccò con le presentazioni. 
- Questo burbero ma volitivo signore alla tua sinistra è Jeff Malcolm, un chirurgo di fama mondiale e l’affascinate creatura al suo fianco è la sua adorabile consorte , Amy Malcolm – sentì che la sua mano mi dette una lieve strizzata al gomito era evidente che la Sig.ra Malcolm suscitava il suo interesse e se devo essere sincero anche il mio - Poi Sir Gontard il mio più caro e vecchio amico di bagordi – ci sorridemmo in modo amichevole visto che già ci conoscevamo – e la gentile e riservata signorina Ruth Stevenson la sua giovane nipote … E per finire il notaio George Kalden, persona di spicco in questo variopinto convivio. 
Le ultime parole le aveva dette con una marcata ironia, era evidente, poiché il notaio Kalden non spiccava affatto, né per aspetto, né per simpatia. Sembrava una specie di caricatura uscita da un romanzo di Charles Dickens. Era piccolo, un po’ ingobbito con la testa pelata fatta eccezione per una ridicola coroncina di capelli grigi ed aveva una pelle giallastra e lucida come se fosse stata fatta di cera e per finire sulla sua guancia sinistra spiccava una grossa voglia violacea. Una bocca diritta ed un naso aquilino completavano quella faccia per niente affabile. Non gli avrei affidato le mie scartoffie per tutto l’oro del mondo. Fra tutti il mio interesse era decisamente orientato verso Amy Malcolm, alta, bruna con un ovale di viso perfetto, occhi scuri e penetranti ed una bocca che era tutta un programma ed ovviamente le curve al posto giusto. Il suo ombroso consorte invece non era bello, massiccio e muscoloso con capelli biondi e folti ed una grinta che dava l’idea del tipo pronto a tutto per avere successo, denaro e potere ed a giudicare dall’abbigliamento e dai gioielli che indossava la moglie ci era riuscito pienamente. Sir Gontard lo conoscevo era un tipo affabile e simpatico anche se non molto loquace, asciutto e dal portamento elegante aveva capelli bianchi molto curati e due baffetti pronti a drizzarsi se qualcosa non gli tornava. La nipote invece non la conoscevo, ma non avevo perso nulla, era giovane ma piuttosto insipida, faccia slavata capelli biondi e lineamenti poco aggraziati. Si sforzava di apparire dolce ed elegante ma con poco successo, l’unica cosa degna di nota erano i suoi occhi di un azzurro incredibile, aveva un’espressione neutra che non lasciava capire cosa le passasse per la testa. Mentre mi ero attardato ad analizzare i presenti un cameriere aveva servito il tè. 
- Non gradisce il tè Sig. Donnerstag? 
Domandò la Sig.ra Malcolm, visto che non mi ero servito. Sir Kokenaim intervenne in mio aiuto 
- Il nostro Marc sarà di certo stanco per il lungo viaggio forse preferisce andare a riposarsi .. Vero? 
Tirò il cordone ed il pallido maggiordomo comparve 
- Samuel! .. Accompagna subito il Sig. Donnerstag nella sua stanza. 
Mi congedai dalla comitiva dicendo che ci saremmo ritrovati tutti per la cena. La Sig.ra Malcolm mi regalò uno sguardo piuttosto malizioso. 
Seguì il maggiordomo ed imboccammo la scalinata che al mio arrivo mi aveva tanto messo a disagio. Samuel reggeva un pesante candelabro e mi parve che la mano gli tremasse lievemente, forse era per il peso dell’oggetto. Anche nel lungo corridoio, dove giungemmo alla fine delle scale, c’erano solo candelabri una vera infinità. Il mio senso pratico mi fece tremare, tutte quelle candele erano pericolose sarebbe bastato veramente poco per dare fuoco all’intera magione, ma Sir. Kokenaim era un originale ed il fatto che fosse la vigilia di Halloween era un motivo più che sufficiente per tutta quella sceneggiata di candele e angoli bui. Ci fermammo davanti ad una porta ed il maggiordomo l’aprì e facendo un lieve inchino mi fece strada. 
- La verrò ad avvertire per la cena. 
E senza aggiungere altro scomparve con il suo candelabro. 
Mi spogliai e mi gettai sul letto, ero davvero stanco, molto stanco, esageratamente stanco. La stanchezza mi si era appiccicata addosso come un velo appena avevo varcato la soglia della camera una cosa strana sulla quale non ebbi tempo di riflettere perché caddi subito preda del sonno. Fu un sonno agitato dove le facce dei vari ospiti si sovrapponevano, li vedevo in abiti antichi oppure con gli abiti per la caccia alla volpe, che mi davano la caccia come se io fossi la volpe. Mi svegliai di soprassalto in un bagno di sudore. Erano le sette di sera. Stavo male mi girava la testa ed avevo una nausea fortissima. Bussarono e poco dopo il maggiordomo entrò. 
- La cena sarà servita a breve – disse inchinandosi 
- Mi scusi con Sir. Kokenaim e gli altri ospiti ma non sto bene e non cenerò. Lo rassicuri sul fatto che domani parteciperò alla caccia alla volpe. Una notte di sonno mi gioverà e domani starò di certo bene. 
Il maggiordomo mi squadrò con occhi preoccupati, ma non commentò. Si limitò a dire che avrebbe riferito il messaggio a Sir Kokenaim ed a chiedermi se avessi bisogno di qualcosa. Lo ringrazia ma lo congedai desideroso solo di tornare a dormire. Il mio stato era perlomeno sospetto ma non sapevo a cosa imputarlo, forse la strana atmosfera di quella casa mi aveva suggestionato fino a somatizzare fisicamente quella suggestione. Mi ributtai sul letto e crollai in un sonno pesante e di nuovo agitato. Stavolta il sogno fu molto più spaventoso. La casa prendeva fuoco perché al centro del salone un gruppo di persone aveva allestito un rogo dove era stata legata una donna dai lunghi capelli grigi. La donna doveva essere una strega perché un uomo con paramenti sacri salmodiava con l’aspersorio in mano e lei urlava insultandolo e sputandogli addosso. 
Il prete aveva la faccia di Sir kokenaim e la strega sembrava Amy Malcolm ma non aveva la sua sfacciata bellezza. Il suo volto era devastato da una rabbia folle che la privava della sua avvenenza. Tra le fiamme s’indovinavano altre persone che non si capiva se ballassero o se fossero esse stesse preda del devastante morso del fuoco. Il sogno mi accompagnò per buona parte della notte ma poi si dissolse come nebbia e mi lasciò libero di riposare. Il mattino dopo fui svegliato alle nove e mi fu annunciato che la colazione era pronta e che potevo prepararmi per la caccia alla volpe. Con mio grande sollievo stavo bene, a parte un lieve disagio per il ricordo sfocato del sogno, per il resto era tutto scomparso ero fresco come una rosa. Entrai nella sala da pranzo dove stavano servendo la colazione e Sir Kokenaim mi venne incontro abbracciandomi con slancio 
- Carissimo Marc!! … Come stai? Ieri ci hai fatti preoccupare tutti quanti. 
- E’ tutto passato era solo stanchezza oggi sto benissimo .. Vi prego ancora di scusarmi. 
- Deve essere l’aria di questa casa o forse il fatto che oggi è il 31 di ottobre. – disse Amy Malcolm guardandomi con sguardo ammiccante. 
Fu una frase strana alla quale nessuno sorrise. Miss Stevenson sembrava una statua di cera, suo nonno accudiva la pipa con ostentata indifferenza ed il Sig. Malcolm mi guardava con occhi ostili, il notaio Kalden invece sembrava spaventato. Era calato un silenzio imbarazzante che Sir. Kokenaim interruppe proponendoci di fare colazione ed annunciandoci le coppie per la cacciata. Durante la colazione la conversazione languì fatta eccezione di qualche scambio di battute tra me e Sir Kokenaim. Mentre ci dirigevamo alle scuderie pensai che avrei preferito avere come compagno di cacciata Sir Gontard invece che la sua taciturna nipote, si prospettava una caccia piuttosto noiosa. All’improvviso una voce maschile decisamente alterata attirò la mia attenzione. Dietro una fitta macchia di cespugli il Sig. Malcolm e consorte stavano litigando. 
- Devi piantarla di fare la gatta morta con quello scribacchino di belle speranze!! – urlava lui - .. Mi stai facendo fare la figura dell’idiota!! 
- Oh!! Sentitelo!! – rispose lei ironicamente - … Sarei io a farti fare brutta figura? .. Ma se fai tutto da solo! Non hai certo bisogno del mio aiuto o di quello di altri!! … Il Sig. Donnerstag ha almeno il pregio di saper conversare, tu invece … Sei buono solo ad occuparti del tuo stupido lavoro!!! 
- Stupido lavoro!!! – s’inalberò lui - … Senza il mio stupido lavoro non potresti andare a giro agghindata come una regina e fare la civetta con gli altri uomini!!! 
L’alterco fu interrotto da un sonoro schiaffo che Amy Malcolm dette al marito, dopo di che si voltò e si diresse verso le scuderie piuttosto contrariata. Presi mentalmente nota di stare alla larga dall’avvenente signora Malcolm. Le pesanti mani del marito non sarebbero state un grazioso ornamento per il mio collo. La donna sapeva il fatto suo e non si faceva mettere i piedi sul collo, mi venne il dubbio che fosse lei quella fra i due che portava i pantaloni. Finalmente tutti eravamo pronti e la caccia ebbe inizio. La giornata non era delle migliori, non pioveva ma era nuvoloso e tirava un vento gelido che entrava nelle ossa. Provai ad intavolare una conversazione sul tempo con la mia occasionale compagna ma ottenni solo risposte monosillabiche. Cambiai argomento. 
- Sa per caso cosa ha in mente il nostro originale ospite per stasera? .. Tutte quelle candele sono certamente suggestive ma non le nego che mi mettano anche un po’ a disagio .. O forse è la casa - conclusi con una leggera risata che voleva essere d’incoraggiamento. 
Lei mi guardò con occhi cupi 
- No! … Non ne so nulla e sinceramente poco m’interessa … Acceleriamo il passo siamo rimasti indietro rispetto agli altri. 
E così dicendo spronò il cavallo lasciandomi piuttosto sconcertato. 
Finalmente la volpe era stata avvistata eravamo tutti lanciati al galoppo dietro alla malcapitata bestiola, quando l’eco di un improvviso ed inatteso temporale si fece sentire. Sir Kokenaim era davanti a tutti, lampi e tuoni si fecero più insistenti e le prime gocce arrivarono. Un lampo piuttosto basso fece innervosire i cavalli che si bloccarono arretrando, il tuono che seguì fu così fragoroso che lo sentì fin dentro al petto e coprì quello che a tutti parve un grido umano. La pioggia si rovesciò violenta. Eravamo tutti fermi e nervosi al pari delle nostre cavalcature. C’eravamo tutti tranne il nostre ospite. Alfred, il guardiacaccia, decise di andare a cercarlo per avvertirlo che era il caso di tornare tutti alla tenuta. Scomparve nel boschetto che era ad un centinaio di metri da noi. Dopo pochi minuti sentimmo, coperto dal fragore del tuono, il suono del corno da caccia. Compatti ci dirigemmo nel boschetto. Il più spaventato di tutti era il notaio Kalden, le due donne non parevano particolarmente ansiose. Sir Gontard che chiudeva la fila mi si avvicinò. 
- Ho un brutto presentimento – mi confidò – spero che il nostro amico non si sia cacciato il qualche guaio. 
Cercai di rassicurarlo, anche se in effetti nutrivo la sua stessa ansia. 
- Stia tranquillo Sir Kokenaim è uno dei migliori cavallerizzi di tutta la Scozia, non si farà certo mettere fuori combattimento da un banalissimo temporale o da un boschetto come questo. 
Finalmente sbucammo in una radura, stava diluviando. Scorgemmo Alfred inginocchiato a terra accanto al corpo di Sir Kokenaim. Ci affrettammo a scendere da cavallo e ci avvicinammo. Lo sguardo desolato del guardiacaccia non lasciava dubbi. La testa di Sir Kokenaim era appoggiata su un grosso sasso acuminato che, nonostante la pioggia, era coperto di sangue. Aveva gli occhi spalancati in un’espressione d’incredulo stupore, con mano tremante glieli chiusi. Sir Kokenaim era morto, certamente tradito dal suo cavallo che adesso era scappato chissà dove. Nonostante il furioso temporale riuscimmo a rientrare portandoci appresso il corpo del nostro ospite. Alla villa fummo accolti da un imperturbabile maggiordomo, nemmeno la vista del proprio padrone morto sembrava in grado di scuoterlo. La servitù si dette da fare composta e austera e così fu allestita una specie di camera ardente nella stanza di Sir Kokenaim. Il silenzio, l’incredulità e lo sbigottimento regnavano tra tutti gli ospiti. Ci riunimmo tutti nella sala con il grande camino, che adesso mi sembrava molto meno accogliente. Il più sinceramente addolorato, a parte me, mi sembrava Sir Gontard. Era stata ovviamente una tragica disgrazia, ma il modo in cui era successa mi metteva inquietudine, quel temporale era stato così repentino, troppo. La voce cupa di Sir Gontard mi strappò ai mie strani pensieri. 
- Io Vado da Sir Kokenaim, voglio stare un po’ con lui. 
Detto questo uscì dal salone scomparendo nel buio crepuscolare del corridoio. Nessuno aprì bocca. Per allentare la tensione preparai dei drink per tutti. Bevemmo in silenzio guardandoci come se ognuno di noi avesse chissà quale scabroso segreto da celare. Passò circa un’ora quando improvvisamente udimmo un grido raggelante seguito da un tonfo sinistro. I primi a scattare ed uscire come fulmini fummo io e Malcolm. Percorremmo il corridoio le cui ampie vetrate davano su un cielo cupo e su un muro di pioggia, era appena mezzogiorno ma sembravano già le sette di sera, ovviamente le onnipresenti candele davano al tutto un aspetto ancora più lugubre. Arrivammo ai piedi della scalinata ed avrei preferito non farlo. Sir Gontard era a terra ai piedi della scala in una posizione assurda e scomposta il suo collo era girato in una posizione innaturale chiaramente spezzato. Fummo raggiunti dalla servitù e dagli altri e fu in quel momento che un’idea folle mi passò per la mente. Schizzai come un pazzo su per le scale e mi precipitai nella stanza dei Sir Kokenaim. Spalancai la porta, ma lui era lì, immobile sul suo letto circondato dalle sue amate candele. Scoppiai a ridere in modo isterico. Quella maledetta atmosfera mi stava davvero dando alla testa, cos’altro avevo sperato di trovare? Ritornai ai piedi della scala piuttosto scosso. Nessuno di noi lo aveva gettato giù dalle scale, eravamo tutti assieme nella stessa stanza, o era stata l’ennesima disgrazia o era stato qualcuno della servitù. La nipote era svenuta, se ne stava occupando la Sig.ra Malcolm con alcune cameriere. Io, il guardiacaccia ed il maggiordomo, seguiti dal Sig. Malcolm, non potemmo fare altro che portare il corpo di Sir Gontard nella sua stanza ed allestire la seconda assurda camera ardente di quella allucinante giornata. Mi voltai verso il maggiordomo così fastidiosamente impassibile. 
- Perché polizia ed ambulanza non sono ancora arrivate? .. E’ passata più di un’ora. 
Il maggiordomo mi guardò come se avessi detto un’enorme fesseria. 
- Polizia? … Veramente non capisco .. E poi il temporale ha fatto saltare le linee telefoniche .. Siamo isolati. 
Quella notizia fu come una doccia fredda 
- Noi eravamo tutti nel salone.... Solo qualcuno della servitù può averlo spinto giù dalle scale. 
Malcolm annuì minaccioso. Questa volta il maggiordomo ebbe una reazione. La sua espressione si fece indignata, ma a rispondere fu il guardiacaccia. 
- Eravamo tutti in cucina a scaldarci ed a commentare l’accaduto, noi abbiamo sospettato di voi! 
Calò il silenzio, eravamo in un vicolo cieco, forse era stata proprio una disgrazia, ma mi riusciva difficile crederlo. In quel momento Ruth Stevenson fece il suo ingresso. Era pallida e stravolta, il viso rigato dalle lacrime, Amy Malcolm la stava sorreggendo. Il suo sguardo chiaro ci abbracciò sospettoso , come se la colpa della morte del nonno fosse stata nostra. Con voce tremante e rotta dal pianto ci cacciò tutti fuori dalla stanza dicendo di voler restare sola con il nonno. Mestamente uscimmo dalla stanza lasciandola sola. Tornammo nel salone dove il notaio Kalden ci aspettava pallido come un fantasma. Non era certo una bella situazione, isolati in una villa tetra in compagnia di due morti deceduti per cause a mio giudizio sospette. Pensai di arrivare al paese più vicino per avvertire le autorità, ma la bufera che si era scatenata violenta mi dissuase. Il villaggio più vicino distava una ventina di chilometri e la pioggia era così fitta da non far vedere ad un metro di distanza. Un suicidio. Amy Malcolm si alzò agitata. 
- Non mi è mai piaciuta questa casa, l’ho sempre trovata ripugnante! E tutte queste candele poi, una vera assurdità … Ma vi rendete conto di che giorno è oggi?!!! 
Il marito la guardò stralunato. 
- Cosa diavolo c’entra la casa? .. – urlò - .. Di cosa stai vaneggiando? .. Mica li ha uccisi lei quei due!! 
Lei si preparò un drink e lo guardò con occhi feroci 
- E cosa ne sai?!!! 
Stavano saltando i nervi a tutti quanti, era poco ma sicuro. La sparata di Amy mi era parsa teatrale e fuori luogo, però forse meritava una riflessione. 
- Beve qualcosa Sig. Donnerstag? 
Mi chiese affabile. Il marito la fulminò con lo sguardo. Decisi di defilarmi. 
- No, la ringrazio, faccio un salto in biblioteca. 
- Vengo con lei - disse pronta posando il bicchiere 
- Tu non ti muovi da qui!! – ringhiò il marito guardandomi con sfida. 
Senza perdere altro tempo uscì dal salone felice di lasciarmi alle spalle quella tensione insopportabile. 
Entrai nell’ampia e fornitissima biblioteca e mi sentì riavere. Non sapevo nemmeno io perché c’ero andato, ma quella frase di Amy sulla casa mi aveva messo una pulce nell’orecchio. Mi ero ricordato che Sir. Kokenaim mi aveva detto che con la villa aveva ricevuto anche un antichissimo ed interessante volume che raccontava la storia dell’antica magione. Mi aggirai incerto per la grande stanza, poi la mia attenzione fu attirata da un elaborato leggio intagliato a mano vicino ad una delle ampie vetrate istoriate. Aperto sul leggio c’era un antico volume dalle pagine ingiallite ma ben conservate. Lo chiusi e sulla copertina di cuoio finemente cesellato vidi riportato il nome della villa. Non potevo crederci avevo trovato alla prima quello che stavo cercando. Se non era fortuna questa. Sfogliai il libro con cautela, saltai la parte che riguardava l’architettura nei secoli, appresi però che la villa risaliva alla prima metà del XIII secolo. Continuando a sfogliare trovai quello che cercavo, e non mi piacque per niente. Uno dei primi proprietari della villa era stata una nobildonna che dopo la raccapricciante morte del marito fu tacciata di stregoneria. A nulla era valsa la sua posizione ed il suo denaro il villaggio, che sorgeva nelle vicinanze della villa, era insorto e capeggiato dal vicario aveva catturato la donna e dopo un processo sommario l’avevano arsa viva nel cortile della villa. La leggenda narrava che la donna prima di morire avesse lanciato una maledizione su tutti coloro che avrebbero posseduto la casa e che esattamente dopo 666 anni lei sarebbe tornata per riprenderne possesso. Correva l’anno 1324 il dì 31 ottobre. Spaventati dall’anatema gli abitanti avevano appiccato il fuoco anche alla villa che inspiegabilmente però non era bruciata. Da allora la casa era diventata maledetta. Ma con il passare degli anni la storia era stata dimenticata ed i più svariati appassionati di case antiche l’avevano comprata. La storia continuava dicendo che i vari proprietari precedenti erano morti nella villa per inspiegabili e fatali disgrazie. Mi si gelò il sangue. Mi ricordai che Sir Kokenaim aveva acquistato quella villa circa trenta anni prima ad un’asta, poiché gli eredi del defunto proprietario non avevano voluto saperne di tenerla. Rabbrividì e con mani tremanti contai i vari proprietari che l’avevano posseduta dal tragico rogo. 

In tutto erano stati ventidue e nessuno ne era rimasto proprietario per più di trent’anni. Contai rapidamente facevano ben 660 anni. Ma cosa stavo facendo? Ero forse impazzito? Erano solo leggende per spaventare gli sciocchi ed i creduloni. Mi cadde l’occhio sulla data scritta vicino al nome di Sir Kokenaim, il libro era una specie di diario che sembrava ogni proprietario avesse aggiornato. La data era il primo maggio del 1960. Contai di nuovo con il cuore in gola.
Facevano trenta anni e sei mesi esatti e quindi in totale 666 anni, ed oggi era il 31 di ottobre. Chiusi il libro di schianto tremando come una foglia. Mi allontanai dal libro come se fosse stato un animale pericoloso, mi voltai e con gambe malferme uscì dalla biblioteca. Mi detti dello stupido, era tutta suggestione, erano solo coincidenze, era solo la mia assurda paranoia. Mi diressi verso il salone ma vidi uno strano assembramento ai piedi dello scalone erano tutti lì, ospiti e servitù. Una goccia di sudore gelato mi scivolò lungo la schiena. Mi avvicinai invaso da un brutto presentimento. Amy mi venne incontro tirata e pallida 
- Abbiamo chiamato Ruth per la cena ma non ha risposto .. mio marito ed il maggiordomo sono saliti a vedere - mi strinse il braccio. 
Alzai la testa e vidi il maggiordomo sulla sommità della rampa, teneva in mano quel suo maledetto candelabro. La sua voce sembrava provenire da molto lontano ma capì benissimo ciò che disse. Salimmo tutti quanti ed entrammo nella stanza di Sir Gontard. Ruth era riversa sulla poltrona la bocca e gli occhi spalancati era cianotica come se fosse stata soffocata, ma sul suo collo non c’erano segni di strangolamento, lo avrei preferito, avrebbe voluto dire che avevamo a che fare con un assassino in carne ed ossa. Uscimmo lasciando alla servitù l’ingrato compito di comporre la salma nella sua stanza. 
Eravamo tutti con i nervi a fior di pelle. La bufera non aveva cessato un attimo, non era minimamente calata d’intensità. Ci guardavamo con sospetto, come animali in gabbia che sanno che presto verranno sacrificati. 
Jeff Malcolm mi indicò con dito accusatore 
- L’avete uccisa voi!! .. siete sparito per più di un’ora con la scusa della biblioteca e l’avete uccisa!!! 
- Cercate di controllarvi – risposi cercando di mantenermi obbiettivo - .. Sono davvero andato in biblioteca ed ho trovato un libro molto interessante che riguarda questa casa e la sua storia. Sembra che sia una casa maledetta! 
- Io l’avevo detto che questa casa non mi piaceva!! - sbottò Amy avvicinandosi a me. 
Kalden iniziò a tremare e Jeff Malcolm si avvicinò minaccioso. 
- Mi avete preso per un idiota? .. Adesso vi aggrappate alle streghe? .. Siete veramente patetico .. Non mi siete mai piaciuto!!! .. Andiamo in questa biblioteca e vi dimostrerò che non c’è nessuna strega e nessuna maledizione!! 
- Va bene!! .. – ribattei esasperato - .. Ma andiamoci tutti senza più separarci!! 
Uscimmo guardandoci in cagnesco e con sospetto, Malcolm e Kalden davanti ed io ed Amy appena dietro. Mentre camminavamo in silenzio lei si appoggiò al mio braccio, tremava, la sua scorza stava cedendo. Non volevo offenderla ma non volevo nemmeno che suo marito ci vedesse in quell’atteggiamento così equivoco, mentre stavo pensando a come fare a trarmi d’impaccio Malcolm si voltò e ci vide. Come una furia si scagliò verso di noi. Con una spinta gettai Amy di lato e mi buttai dalla parte opposta. Avevamo da poco superato un’antica armatura con tanto di alabarda. Arretrando me la trovai alle spalle. Malcolm si gettò su di me come una furia. Disperato e certo di soccombere davanti alla prestanza fisica dell’avversario mi accovacciai nel vano tentativo di scansarlo. Ci fu un rumore metallico e poi un rantolo che mi fece rabbrividire. Alzai gli occhi e vidi che Jeff Malcolm era rimasto trafitto dall’alabarda dell’armatura che inspiegabilmente era caduta in posizione di attacco senza che nessuno l’avesse toccata. Rimasi pietrificato a guardare quella scena assurda e macabra. Amy non piangeva, era solo sconvolta. Guardava il corpo del marito con occhi strani che mi spaventarono. 
- Vado a chiamare la servitù. 
Disse semplicemente e scomparve lungo il corridoio. Mi alzai malfermo sulle gambe, il notaio mi guardava atterrito e disse l’unica cosa sensata che potesse dire. 
- Non avremmo dovuto lasciarla andare da sola. 
Poi si avvicinò ad un interruttore 
- Non ne posso più di queste macabre candele .. Voglio un po’ di luce. A Sir Kokenaim ormai non importa più dell’atmosfera per la sua serata. 
Uno strano presentimento mi attraversò. 
- No!! .. – urlai – .. Non lo tocchi!! 
Kalden aveva la mano sull’interruttore e lo girò deciso nonostante il mio avvertimento. Una pioggia di scintille illuminò la mano dell’uomo. Kalden urlò senza riuscire a mollare la presa. Tremava come colto da una crisi epilettica, poi alla fine lasciò l’interruttore e crollò a terra fulminato. Non osavo avvicinarmi al suo corpo e fu allora che sentì dei passi in corsa mi voltai pronto ad urlare e vidi Amy venirmi incontro con la faccia pallida e stravolta. Vide Kalden e scoppiò a piangere e fra i singhiozzi mi disse che non c’era più traccia della servitù. Erano tutti spariti. Non sapevo cosa dire né cosa fare. Dall’interruttore andato in corto vidi spuntare delle fiamme. Afferrai Amy per un polso e la trascinai verso la scalinata. Mi voltai e vidi le fiamme divampare alle nostre spalle. Da qualche parte una pendola batté le ore. Come uno stupido, mentre correvo, mi misi a contare i rintocchi. Ne contai dieci. Mi bloccai di colpo. Com’era possibile se quando ero uscito dalla biblioteca erano appena le venti? Non potevano essere già passate due ore. Le fiamme ruggivano alle nostre spalle e davanti a noi le candele si erano trasformate in tanti piccoli roghi dove potevo vedere danzare la forma contorta di una donna dai lunghi capelli. Mi voltai verso Amy per chiederle se anche lei stesse vedendo quello che stavo vedendo io. Lei si era allontanata da me con occhi terrorizzati avvicinandosi pericolosamente alla parete alle sue spalle dove altre candele si erano trasformate in roghi. Le urlai di fermarsi e di tornare verso di me. C’era un caldo infernale. Lei fece un altro passo indietro e le fiamme le attaccarono i capelli. Urlai disperato togliendomi la giacca e gettandomi su di lei nel tentativo di spegnere le fiamme. Ma due lingue di fuoco si allungarono dalla parete e la ghermirono come due braccia attirandola al centro del rogo. 


Le fiamme divennero enormi e si agitarono come se al loro interno vi fossero due creature enormi che stessero lottando. Piangevo ed urlavo incapace di muovermi. Il fuoco era tutto attorno lo sentivo bruciarmi la pelle e togliermi il respiro, ma non c’era fumo. Mi resi conto che nonostante il fuoco la casa non stava bruciando. All’improvviso il rogo che aveva inghiottito Amy si spense, al suo posto una donna bellissima che aveva le sembianze di Amy ma non lo stesso sguardo. I suoi occhi erano completamente neri e sembravano profondi come pozzi. Arretrai terrorizzato. Lei avanzò come se fluttuasse. La pendola batté dodici rintocchi. Il tempo correva su binari a me sconosciuti. Allungò le mani aperte verso di me, poi con gesto secco le chiuse e le fiamme scomparvero all’improvviso. Tutto attorno tornò la normalità. Il corridoio illuminato dalla calda luce di centinaia di candele e fuori la bufera che ancora imperversava furiosa. Lei mi sorrise in modo agghiacciante. 
- Ben venuto nella mia umile dimora straniero .. sarò ben lieta di darvi riparo per la notte – mosse il braccio facendo frusciare il suo suntuoso abito di broccato e dal fondo del corridoio arrivò il maggiordomo con il suo immancabile candelabro - .. Stasera avremo ospiti mio caro Samuel preoccupati di preparargli la nostra stanza più accogliente … - 
Non riuscivo a muovermi o a parlare stavo sognando o era la realtà? Ero impazzito o ero precipitato all’inferno? 
Lei mi sorrise di nuovo raggelandomi. 
- Sono molti anni che un viaggiatore non passa da queste parti e si ferma chiedendo ospitalità … Per l’esattezza sono 666 anni .. un po’ troppi non trovate? 
- Perché io? – riuscì a domandare con voce tremante. 
Lei si avvicinò e mi afferrò per il collo con le sue lunghe dita fredde ed armate da unghie affilate. 
- Il sant’uomo che decise di mettermi al rogo si chiamava Padre Marc Donnerstag … Un tuo delizioso antenato … Un cerchio che si chiude … La mia adorata casa mi ha atteso paziente per 666 anni e mi ha donato il sacrificio di 27 vittime, tante quanti gli anni che avevo quando sono morta, ed il numero esatto di anime che servivano per riportarmi in vita … Ti regalo volentieri i miei 666 anni di prigionia .. Sei uno scrittore potrai documentarli come un bravo diarista. 
Le sue dita si serrarono attorno al mio collo ed io seppi di essere per sempre dannato e schiavo del suo nefasto potere. Scontavo sulla mia pelle le colpe di antenati di cui ignoravo l’esistenza. Non era giusto, ma era la notte di Halloween e tutto poteva accadere, anche che una strega tornasse in vita grazie ad una casa stregata persa dentro una demoniaca bufera. 


FINE